Il regista Leo Muscato: vi racconto la mia Bohème

18 Luglio 2012

Aderire all’opera originale, riuscendo nello stesso tempo a coinvolgere lo spettatore in una lettura nuova, capace di stupirlo, anche se conosce perfettamente la famosa storia dei bohèmien e di Mimì, da La Bohème di Giacomo Puccini. Il regista Leo Muscato usa un artificio, mira ad un pubblico nuovo e rimanda tutti allo Sferisterio. Per un finale forte, e a sorpresa.

 

Dai primi bozzetti de La Bohème si vedono i Fab Four in uno scenario decisamente beat. Cosa ne sarà dell’opera di Giacomo Puccini?

 

L’idea di fondo è quella di aderire alla qualità della vicinanza tra opera e spettatore, proprio come ha fatto lo stesso Puccini quando ha scritto La Bohème. L’ha ambientata nella Parigi di quarant’anni prima della messa in scena, per spettatori che ricordavano da vicino quell’epoca appena trascorsa. Un’epoca, quella della Francia del 1830, cruciale e carica di tensioni, caratterizzata da stravolgimenti politici e culturali. C’erano le barricate e i movimenti dei giovani che venivano dalla campagna con la voglia di sovvertire il potere costituito. Per rimanere molto vicini a questa idea, abbiamo deciso di non ambientare La Bohème in un’epoca così lontana, ma in un momento come quello delle rivolte studentesche della Parigi a cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, caratterizzata dallo stesso fervore culturale e rivoluzionario, con piazze stravolte e altrettanto cariche di tensioni contrapposte.

 

E quale prevede sarà la reazione del pubblico a questo duplice sfasamento temporale?

 

La mission del Macerata Opera Festival è quella di parlare ad un pubblico nuovo, più giovane, più aperto ai nuovi linguaggi. Ne La Bohèeme che portiamo in scena viene ricostruito un immaginario, con costumi, azioni e ambientazioni, che parlano ai ragazzi di oggi, i quali da un lato possono rivedersi nelle storie dei giovani bohemien rappresentati sul palco dello Sferisterio, e dall’altra rivedere in scena ciò che hanno sentito dai racconti dei loro genitori, visto che è raccontato uno spaccato della generazione precedente. Una generazione che ha vissuto la più grande rivoluzione del ‘900, purtroppo miseramente fallita per mano degli stessi rivoluzionari, molti dei quali hanno ceduto il passo a quella vita borghese che criticavano aspramente, mentre gli altri hanno virato verso la violenza becera della lotta armata. Una cosa tengo comunque a precisarla: questa lettura politica non toglie niente alla vicenda che viene raccontata da Puccini, dal momento che viene solo contestualizzazione in un’epoca diversa.

 

Come sarà rappresentata sul palco dello Sferisterio questa Boheme sessantottina?

 

L’opera prevede quattro quadri. Nel primo, i quattro protagonisti, presumibilmente studenti, sono nel loro loft, dove vivono in una condizione economica disagiata, ma molto fervida dal punto di vista culturale. Il secondo atto si svolge invece in una tipica discoteca anni ’70, molto colorata e molto bizzarra. Qui i ragazzi mangiano qualcosa ai tavoli, si baciano in un clima di grande promiscuità, e di libertà artistica e culturale. Questo atto è molto connotato dal punto di vista dei costumi e degli ambienti. Le capigliature bizzarre dei protagonisti, i loro abiti coloratissimi e fiorati, l’interno della discoteca, tutto curato nel minimo dettaglio per restituire allo spettatore quel clima, quel modo di essere molto spregiudicato. Da qui al terzo atto il clima cambia, e si entra nel vivo della contestazione giovanile, che marchia in modo importante questo spettacolo. Elemento centrale diventa il grande muro dello Sferisterio. Qui operai e studenti si mescolano e protestano contro i padroni, impostando un discorso politico contro le brutture della vita in fabbrica, contro la tossicità dei gas che vi si respirano, e che sono responsabili del male di Mimì. Si vedrà una fabbrica occupata, operai in un capannello, poliziotti in tenuta antisommossa, san pietrini a testimoniare lo scontro in atto. Immagini belle di quello che fu il maggio parigino. Infine il quarto atto, il momento dei saluti che racconta il passaggio dalla gioventù alla maturità per questi ragazzi. Sono stati cacciati da Benoit, fanno un trasloco tra scatoloni, e giunge loro la notizia che Mimì sta male. E qui il colpo di scena, molto forte e altrettanto fedele allo spirito dell’opera di Giacomo Puccini. Ma lo lasciamo allo spettatore che verrà allo Sferisterio il 21 e 27 luglio e il 5 e 10 agosto.

 

Lei viene dal teatro di prosa, come ha affrontato l’opera lirica, e quale scenario si prefigura per il futuro della lirica in Italia?

 

Ho affrontato questa rappresentazione operistica con lo stesso approccio con il quale studio per la prosa. Ho studiato l’ambientazione del 1830 parigino, erano anni di fuoco, con la monarchia che cedeva il passo alla repubblica. Non ci sono tracce nell’opera di questo. Per cui l’unico obiettivo che avevo io come regista era raccontare questa come fosse un’opera nuova, anche se la sua storia, la sua trama è nota a tutti. E come catalizzare l’attenzione, come stupire lo spettatore con le cose che vengono raccontate? E soprattutto come coinvolgere quel pubblico di ventenni, venticinquenni, vitale per questo mondo? Micheli si è rivolto a registi che hanno come obiettivo di parlare un linguaggio fresco e non convenzionale. È una sfida che abbiamo accettato, con progetti belli e complessi, e soprattutto non costosi. Perchè un’altra delle prerogative che ci mipone quest’epoca è di razionalizzare risorse economiche. E’ un’altra sfida che accettiamo, perchè sappiamo che nell’essenza possa essere la necessità di fare questo mestiere.

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